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Crimini a Nord Est e oltre i confini: un affare per tanti

Intervento di Ruggero Purin – Segretario generale SPI Cgil del Trentino

Crimini a Nord Est e oltre i confini: un affare per tanti

Ho aderito volentieri a questa importante iniziativa, tanto più significativa per la difficile fase economica e sociale che interessa il nostro paese ed i nostri territori.

Sono consapevole della vastità e della complessità dei problemi che questo incontro vuole affrontare, presentando l’ottimo lavoro di ricerca di Luana e Ugo che spazia dalla criminalità economica internazionale, dal traffico di droga alla prostituzione, dalla tratta delle persone a quello dei rifiuti tossici. Altri interverranno con maggior competenza della mia, voglio qui limitarmi a quanto accaduto in Provincia di Trento a seguito delle indagini avviate per attività mafiose, una vicenda particolare, ripresa anche dai mass media nazionali, che ricalca specularmente quanto sta avvenendo in tutto il Nord-Est.

Si è sempre sostenuto, e qualcuno nel recente passato è stato anche bistrattato per aver sostenuto il contrario, che il Trentino è immune dal fenomeno mafioso. Affermazione retorica rappresentativa di un sentimento di superiorità molto diffuso nel nostro territorio. Siamo terra di confine, terra di civismo e benessere, crocevia di popoli e interessi, ma spesso per qualcuno la visione autonomistica è sinonimo di chiusura corporativa e di opportunismo istituzionale.

Si è in sostanza sempre sottovalutato il fenomeno della penetrazione mafiosa pur essendoci segnali evidenti di presenze e di giri sospetti in particolare in alcune realtà economiche a partire dal distretto del porfido, dove il conflitto di interessi tra responsabilità istituzionali locali e i cavatori ha frequentemente ostacolato i necessari processi di riforma e di innovazione del comparto. Un settore che negli anni settanta occupava circa 2000 addetti, ma ormai in difficoltà da alcuni decenni combattuto tra processi di tutela e valorizzazione del lavoro, dei beni comuni e di salvaguardia ambientale e la scarsa trasparenza delle politiche di assegnazione e di gestione spesso ancora opaca delle concessioni che ha oggettivamente esposto le imprese del settore alla lenta e subdola penetrazione del fenomeno criminale e della ‘ndrangheta. Una criminalità vorace che non ammazza ma che ti dà i soldi per investire e che ti espropria lentamente dei beni, utilizzando le società come veicolo per ripulire i propri proventi illeciti, trasferendo i patrimoni in paradisi fiscali e abbandonando al fallimento le società svuotate. Una criminalità con i guanti di velluto attenta ai rapporti sociali, che si inserisce e si accredita nella comunità civile locale, favorita da una rete di insospettabili collusi, che tesse relazioni a tutti i livelli istituzionali, capace di orientare ed inquinare il consenso elettorale in piccole comunità, di controllare il voto amministrativo e le stesse scelte politiche locali con l’inserimento di propri sodali nelle amministrazioni comunali. Ma quando serve anche dura e feroce, dotata di una propria organizzazione in grado di intimidire e bastonare chi rivendica il rispetto dei diritti o di compiere attentati a danno dei rappresentati delle istituzioni locali troppo indipendenti, o dei leali servitori della legge.

La notizia dell’intervento della magistratura, frutto di una lunga indagine, è scoppiata come un fulmine a ciel sereno e deve servire per tutti da monito: la ‘ndrangheta che ancora per molti di noi resta una cosa lontana è concretamente vicina e la sua influenza si sta irradiando dalle cave della Valle di Cembra ad altre zone del Trentino e settori produttivi. Il 15 ottobre scorso sono state eseguite 19 misure cautelari, successivamente avvisati di accertamenti tecnici 29 indagati dell’inchiesta sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta in Trentino, un’indagine della Guardia di finanza che ha passato allo screening investigativo 148 persone fisiche e giuridiche, ed ha portato a porre sotto sequestro un patrimonio di 8 milioni di euro. Un tesoro, frutto di proventi illeciti, composto di beni immobili, terreni, macchine da cantiere, automobili, denaro e conti correnti ma anche 15 società sparse tra il Trentino, Veneto, Roma e Calabria.

 

Il lavoro di Luana e Ugo indica infine alcune soluzioni perché questo cancro non dilaghi, rispetto alle quali ognuno di noi deve sentirsi impegnato per la propria parte.

Mi pare che molte proposte vadano anche riprese e raccolte dal Sindacato confederale che può e deve essere in grado di svolgere la sua parte a difesa del lavoro e della democrazia, ne riprendo alcune:

- la ‘ndrangheta e le organizzazioni criminali di stampo mafioso, diceva Giovanni Falcone, vanno colpite sul loro terreno, nel “portafoglio”. La malavita rapace non investe ma accumula, praticando l’elusione e l’evasione fiscale, distruggendo imprese e lavoro. Siamo un paese con una legislazione all’avanguardia nel contrasto alla criminalità organizzata nel campo delle segnalazioni dei flussi finanziari sospetti, da parte degli operatori finanziari ed economici, peccato però che la mancata segnalazione delle operazioni sospette non sia sanzionata penalmente ma solo in via amministrativa e con sanzioni di importi modesti, favorendo oggettivamente consulenti, complici e faccendieri al servizio del sistema criminale;

- ma va soprattutto affrontata con urgenza la riforma del mercato del lavoro italiano, frantumato e diviso, rafforzando la stabilità d’impiego e unificando i diritti di ogni persona che lavora. Vanno sostenute le politiche di valorizzazione delle competenze e incentivata la partecipazione al miglioramento organizzativo e produttivo delle imprese. La corsa al ribasso del costo del lavoro non porta da nessuna parte, indebolisce la domanda e accentua le politiche discriminatorie, lo sfruttamento e la pratica del lavoro nero. E non a caso, in questi ultimi anni, tanti lavoratori del settore del porfido sono immigrati dai Balcani, dalla Cina, dal Nord Africa, spesso costretti a lavorare in condizioni bestiali e ad elemosinare il pagamento (in nero!) di una parte del dovuto. Si praticano politiche razziste e discriminatorie nei confronti degli immigrati per poi trasformarli in una riserva di manodopera a disposizione del caporalato in condizioni disumane e a basso costo;

- eppure la legge provinciale 1 del 2017 che in Trentino regola il comparto estrattivo è una buona legge, frutto di un lavoro condiviso tra le parti sociali che tutela la qualità del lavoro e la sicurezza, ma anche il rispetto del territorio e il controllo dell’attività estrattiva, la tracciabilità e la trasparenza delle seconde lavorazioni. Peccato che senza controlli la legge venga elusa, lasciando spazio alle infiltrazioni mafiose, creando una condizione di concorrenza sleale tra le imprese, in un contesto di inadeguatezza delle amministrazioni comunali a svolgere il ruolo di garanti e di tutela del bene pubblico. Chiudo associandomi all’appello della Cgil, del Sindacato confederale, e delle categorie del comparto che chiedono alla Giunta, a trazione legista, di non rinviare, come già fatto ad esempio in campo sanitario, l’applicazione piena della legge e della riforma e si dia piena attuazione alle attività di controllo compresa la scelta di avocare le competenze sul comparto ad organi provinciali indipendenti, lontani dai conflitti di interesse e garanti dei beni comuni dell’intera comunità.

 

 

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