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Università e un bilancio in rosso per 15 milioni: lavoratrici e lavoratori i primi a pagare

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Abbiamo seguito con attenzione l’intervento del Rettore Deflorian e il dibattito che ne è scaturito con l’Assessore uscente. In questa fase delicata era essenziale che il vertice della comunità universitaria intervenisse in modo puntuale sul rosso sempre più profondo del bilancio dell’Università di Trento.

Il Rettore ha sollevato punti centrali e l’assessore Bisesti ha replicato snocciolando dati di quanto fatto durante il suo mandato senza restituire risposte che consentano di guardare al futuro con migliori prospettive e maggior fiducia. Di fronte all’allarme lanciato dal Prof. Deflorian perché mancano all’appello quindici milioni di euro, non riteniamo accettabile una risposta politica sulla difensiva che non sposta di un millimetro la realtà: i fondi non sono sufficienti e commisurati alle ambizioni che questo ateneo si è dato e si dà per il futuro.

Tralasciando per un momento le cifre è doveroso rivolgere tutta la nostra attenzione al grande assente di questi ragionamenti: il personale tecnico e amministrativo, primo anello della catena sul quale l’impatto di un’Università col bilancio in rosso si è fatto sentire chiaramente nella vita delle lavoratrici e dei lavoratori.

L’altra faccia della medaglia di un ateneo con pretese di prestigio è quella di un ente in cui il personale nell’inverno 2022 si è trovato a vivere uffici con temperature al di sotto dell’accettabile e a non poter usare l’acqua calda, rimasta spenta per mesi in buona parte degli edifici; di un ateneo in carenza cronica e sempre più marcata di personale in molte delle realtà che lo compongono, ostinato nell’utilizzare contratti a termine anche per posizioni che per loro natura hanno carattere di continuità e avrebbero quindi diritto di stabilità.

Con un’Università che anche per volontà della PAT continua ad ampliare la propria offerta didattica, a fronte di un organico sottodimensionato, il personale vede aumentare il proprio carico di lavoro, uno stipendio di per sé basso che continua a perdere potere di acquisto, condizioni di lavoro sempre meno favorevoli rispetto a un tempo, quando le dimensioni dell’ateneo e i volumi di lavoro erano ben diversi. Lo si è visto nella forte riduzione nella libertà di pianificare le proprie ferie, determinata da chiusure obbligatorie di uffici ed edifici in alcuni periodi dell’anno con lo scopo di ridurre i consumi e risparmiare energia. Molte lavoratrici e molti lavoratori sono sottoinquadrati rispetto alle funzioni che svolgono, alle responsabilità che competono loro, ai titoli di studio che hanno, eppure l’esistenza e il funzionamento dell’Università poggia proprio sulla sua struttura tecnica e amministrativa.

Se questo è l’impatto di un bilancio in rosso per cinque milioni non osiamo immaginare quali altri sacrifici attendano le colleghe e i colleghi che conserveranno il proprio posto di lavoro nei mesi/anni a venire se l’Università chiuderà il 2023 con un buco da quindici milioni, per non parlare di tutti coloro cui non saranno rinnovati contratti e incarichi per una mancanza di risorse inedita nella storia dell’ateneo trentino.

Non ci resta che chiedere alla giunta provinciale uscente di tenere in altissima considerazione l’allarme lanciato dal Rettore: dietro le cifre si scorgono le vite di tutte le persone che lavorano in UniTrento e che ne sono la spina dorsale. L’autonomia tanto desiderata e raggiunta dalla PAT nel 2011 impone un’assunzione di responsabilità e finanziamenti all’altezza dello sviluppo raggiunto e atteso dall’Università degli studi di Trento.




Trento, 15 settembre 2023

 

 

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